In difesa del suicidio – John Donne
Introduzione di Domenico
D. Curtotti
Traduzione di Elisabetta
Pellini
Edizioni Clandestine
192 pagine
John Donne visse tra il
XVI e il XVII secolo in Inghilterra e fu un religioso (oltre che poeta e
saggista) che affrontò con serietà e mente libera il tema del suicidio.
L’atto di togliersi la
vita è ancora un tabù per alcuni e sembra risiedere nella parte più oscura e
privata dell’uomo. Infatti, in caso di tragedie del genere rimaniamo ancora
oggi spiazzati, anche se, per fortuna, il velo di colpevolezza che lo ricopriva
sembra ormai essere stato strappato via.
Questo gesto estremo
m’ispira tristezza e non posso che chiedermi cosa possa spingere qualcuno a
compierlo, a non trovare altra via d’uscita.
A lungo la Chiesa ha
condannato (e continua se non erro) i suicidi e anche nel pensiero comune essi sono
stati a lungo peccatori. Per questo il saggio di John Donne mi ha incuriosita.
Attenzione, egli non vuole incoraggiare quest’atto o giustificarlo in ogni caso
(e neanch’io), ma stupisce che un uomo della sua epoca abbia deciso di
affrontare l’argomento in questo modo. Egli, infatti, vuole spogliare i suicidi
della condanna che li perseguita, volendo vedere anche le motivazioni, senza
privare il terribile gesto del suo significato e colpevolizzandolo.
Decide di affrontare
l’argomento esaminando il «problema,
morale, religioso, legale della liceità di attentare, in sovrana libertà, alla
propria esistenza» (dalla prefazione).
Donne stesso confessa
che in lui «si è manifestata una simile
inclinazione» e vuole comprendere se ci siano delle basi per condannarla
così severamente nelle leggi morali, scritte e religiose dell’uomo.
E così, passa dalla
legge naturale, dove conclude che l’autoconservazione non è un prodotto della
legge naturale, ma lo è il tendere verso il bene. Può quindi essere che alcuni
vedano nel suicidio il bene, anche se si trovano in errore.
Questo gesto non è
contrario alla legge naturale per via di com’è sempre stato presente nella
storia dell’uomo, in diverse culture, nelle regole non scritte, permesso,
accettato, anche nelle menti di personaggi saggi e illustri come Platone e
Thomas More.
Per quanto riguarda la
legge razionale, John Donne esamina sia quella degli uomini sia quella Canonica,
e conclude che il suicida possa venir punito severamente (confisca dei beni da
parte dello Stato o divieto di una sepoltura cristiana) non tanto per la gravità
della sua colpa, ma per fungere da deterrente per i vivi. La legge dello Stato
e quella Canonica vogliono entrambe limitare i suicidi, ma un uomo pio non è
meno devoto perché sepolto senza un degno funerale.
Non possiamo neanche
dire che la nostra vita appartiene solo a Dio, perché se no lo Stato non
avrebbe il diritto di emettere sentenze di morte.
Anche in questo caso
Donne fa diversi esempi e devo ammettere che sono stata un po’ confusa poiché
egli sta trattando non solo la legge dello Stato ma anche quella Canonica, e
alcune parti mi sembrano vadano a trattare molto la parte religiosa del
problema più che quella legale.
La parte in cui si
occupa della legge divina è quella che mi è interessata un po’ meno. Anche in
questo caso devo dire che Donne da sfoggio della sua cultura e del suo lavoro
di ricerca, infatti, le citazioni in questo saggio sono molte e accurate, e
danno prova del lavoro che vi è dietro.
In questa parte egli fa
riferimento alle Scritture e non starò qui a riportare tutti gli esempi e le
prove, ma potremmo dire che quando in esse si parla dei suicidi, il loro gesto
non viene biasimato, la loro virtù non è degradata.
Lo scopo di John Donne,
ci tengo a ripeterlo, non era certo quello di incoraggiare o giustificare il
suicidio. Egli stesso non portò a termine i pensieri che poteva aver avuto a
riguardo.
Credo che John Donne -
un uomo estremamente religioso e riflessivo, un fervente credente che nonostante
questo non mi sembra smise mai di porsi domande – volesse solo far capire che
il desiderio di morte fa parte dell’uomo come quello di voler vivere. Che non è
giusto condannare e accusare chi compie un tale gesto e allontanarlo, che
facendolo peccheremmo anche noi. Che dobbiamo cercare di comprendere chi arriva
a una tale decisione estrema.
In diversi esempi che
riporta, ci sono casi di suicidio che sono ritenuti giustificabili (per esempio
i martiri). Anche se parla di suicidi ritenuti giusti (dalla situazione, dalle
Scritture, da una personalità importante) mi piace pensare che il suo sia un
invito più ampio alla comprensione e all’astinenza della tendenza molto umana
di voler giudicare, e non a distinguere semplicemente suicidio e suicidio
giustificabile.
Gli accenni che faccio
ai contenuti del saggio non sostituiscono la sua lettura, credo anzi che
sarebbe necessaria una rilettura per comprenderlo meglio. Ho cercato
semplicemente di riportare quelli che ho compreso come argomenti principali.
Credetemi quando vi dico che esempi, citazioni e fonti non mancano in questo
libro.
Commenti
Posta un commento