Amleto – William Shakespeare
A cura di Agostino
Lombardo
Feltrinelli
285 pagine
Testo originale a fronte
Non mi metterò a
recensire William Shakespeare, questa è stata una lettura ludica e curiosa,
spinta dalla voglia di conoscere un autore tanto celebrato. Lascerò ad altri
ben più preparati il compito di parlarne in modo più approfondito.
Eccovi quindi due parole
sulla trama.
Il Re di Danimarca è morto e sul trono ora siede suo
fratello Claudio, che ha anche sposato la Regina vedova Gertrude.
Il giovane Amleto incontra uno spettro, che gli si rivela
come quello del padre. Quest’apparizione accusa l’attuale Re di averlo
assassinato e chiede al figlio di fargli giustizia.
Amleto, per scoprire se ciò che ha detto lo spettro è reale,
si finge pazzo e ordisce uno stratagemma per capire se il Re è davvero
colpevole.
Non so quanto andare
avanti a parlarvene, perché molti conosceranno la storia anche senza averla
letta, ma per sicurezza mi fermo qui. Desidero solo riportare il famoso
monologo di Amleto, che sicuramente invita tutti alla riflessione.
Essere o non essere –
questa è la domanda
Se è più nobile per la
mente sopportare
Le sassate e le frecce
dell’oltraggiosa fortuna
O prendere le armi
contro un mare di guai
E, combattendo, finirli.
Morire, dormire –
Nient’altro – e con un
sonno dire che poniamo
Fine al male del cuore e
ai mille
Travagli naturali di cui
la carne è erede.
Questa è consumazione da
desiderare devotamente.
Morire, dormire –
dormire, forse sognare.
Ah, qui è l’intoppo.
Perché in quel sonno
Di morte quali sogni
possano
Venire quando ci siamo
liberati
Di questo groviglio
mortale, è cosa
Che deve farci meditare.
È questo il pensiero
Che dà alla sofferenza
una vita così lunga.
Chi sopporterebbe la
frusta e l’ingiuria
Del tempo, i torti
dell’oppressore, le contumelie
Del superbo, i dolori
dell’amore disprezzato,
I ritardi della
giustizia, l’insolenza del potere
E il disprezzo che il
merito paziente riceve
Dagli indegni, quando
lui stesso potrebbe
Darsi quietanza con un
nudo pugnale?
Chi porterebbe fardelli,
grugnendo
E sudando sotto il peso
della vita, se non fosse
Che la paura di qualcosa
dopo la morte,
La terra inesplorate dai
cui confini
Non torna il
viaggiatore, paralizza la volontà
E ci fa sopportare i
mali che abbiamo
Piuttosto che fuggire
verso quelli
Che non conosciamo? Così
la coscienza
Ci rende tutti codardi,
e così
La tinta naturale della
risolutezza
È resa livida dalla
pallida impronta
Del pensiero, e imprese
di grande
Portata e momento mutano
per questo
Il loro corso e perdono
il nome
Di azione.
Mi è piaciuta questa
lettura, anche se credo che sarebbe molto più interessante assistere alla
rappresentazione.
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