Holy Sonnet 10 – John Donne

Alla fine della prefazione del saggio di John Donne, In difesa del suicidio, è riportata una sua poesia, Holy Sonnet 10.
La conoscevo già ma mi ha fatto piacere ritrovarla ed è sicuramente adatta al tema trattato dal libro.

Death be not proud, though some have called thee
Mighty and dreadful, for, thou art not soe,
For, those, whom thou think’st, thou dost overthrow,
Die not, poore death, nor yet canst thou kill mee.

From rest and sleepe, which but thy pictures bee,
Much pleasure, then from thee, much more must flow,
And soonest our best men with thee doe goe,
Rest of their bones, and soules deliverie.

Thou art slave to Fate, chance, kings, and desperate men,
And dost with poyson, warre, and sickneses dwell,
And poppie, or charmes can make us sleepe as well.
And better then thy stroake; why swell’st thou then?
One short sleepe past, wee wake eternally,
And death shall be no more; Death, thou shalt die.


Morte, non esser superba, pur se t’hanno chiamata
possente e terribile, perché tu non lo sei,
perché quelli che tu credi travolgere
non muoiono, povera morte, né tu puoi uccidere me;

dal riposo e dal sonno, che non sono che ritratti di te,
scorre grande piacere, quindi da te maggiore ne scorrerà,
e per i primi i migliori tra noi se ne vanno con te,
riposo delle loro ossa e liberazione dell’anima.

Tu sei schiava del Fato, del Caso, di re e disperati,
e dimori con veleno, guerra e malattia,
e oppio o incantamenti ci fan dormire altrettanto bene,
e meglio del tuo colpo; perché allora ti gonfi d’orgoglio?
Passato un breve sonno, noi ci destiamo in eterno,
e morte non sarà più; Morte, tu morirai.


Come ho già menzionato sul post sul saggio, John Donne era un uomo molto religioso e in questa poesia vediamo come egli non tema la morte perché sicuro di cosa ci attende nell’aldilà. Una volta trapassati la morte non esisterà più.
Una poesia sulla morte e sul potere che ha su di noi, o che crede di avere.


Riporto il testo originale e la traduzione da Poesie – John Donne, a cura e con traduzione di Alessandro Serpieri e Silvia Bigliazzi (edizioni BUR). Ho preferito questa versione che quella riportata nel saggio.

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