Il manoscritto – Come la riscoperta di un libro perduto cambiò la storia della cultura europea – Stephen Greenblatt
Traduzione di Roberta
Zuppet
Rizzoli
309 pagine
Stephen Greenblatt ci
invita a guardare al passato, a come i classici abbiano fondato la nostra
modernità. In particolare, abbiamo modo con lui di approfondire come il De
rerum natura di Tito Lucrezio
Caro sia un mattone fondamentale della nostra storia e di come lo stupore
poetico della sua visione scientifica del mondo riesca ancora oggi a
emozionare.
Redatto intorno al 50
a.C., Greenblatt ci accompagna alla riscoperta del libro insieme a Poggio
Bracciolini, colui che lo riportò alla luce nel 1417 dopo averlo scovato in un
monastero in Germania, facendoci rivivere la trepidazione che precede una tale
scoperta. La quale non fu proprio fortuita, poiché Poggio era un vero
cacciatore di libri, che girava in lungo e in largo alla ricerca di tesori
nascosti. Un compito che sapeva svolgere bene giacché aveva tutti i requisiti
per farlo.
Il viaggio necessario
per comprendere l’importanza del De rerum
natura comincia secoli, millenni fa. Innanzi tutto è bene svolgere lo
sguardo a dove iniziò a circolare, in che epoca. Per interpretarla Greenblatt
cita Gustave Flaubert: «Quando gli dèi
non c’erano più e Cristo non ancora, tra Cicerone e Marco Aurelio, c’è stato un
momento unico in cui è esistito l’uomo, solo.» (pag. 80). Con questo non si
vuole intendere che la gente non credesse in una divinità in generale, ma che
molti dei lettori delle opere di Cicerone e delle altre rinvenute a Ercolano*
(per esempio del greco Filodemo e lo stesso De
rerum natura) non sembravano affidarsi a convinzioni e pratiche fisse
approvate da una volontà divina. Donne e uomini liberi dai preconcetti degli
dei, soli, potevano scegliere visioni diverse.
Per tornare alle origini
di questo manoscritto, bisogna ricordare che trasmette idee sviluppatesi secoli
prima, cioè di come tutto sia formato da tanti mattoncini, gli atomi. Un
concetto espresso da Democrito nel V secolo a.C. e che in seguito Epicuro riprese
cercando le implicazioni di questa teoria (con lui siamo dopo la metà del IV
secolo a.C.). Lucrezio quindi guarda a Epicuro quando, libero di pensare ciò
che vuole senza essere accecato da una fede totalizzante, scrive il De rerum natura.
Com’è andata persa tutta
questa conoscenza? Come sono andati distrutti pergamene, papiri e libri? Ne furono prodotti in quantità, l’autore
porta ad esempio Alessandria d’Egitto e la sua famosa biblioteca.
Il tempo, il cattivo
mantenimento, i parassiti, sicuramente contribuirono alla distruzione di molte
opere, ma non dobbiamo dimenticare le guerre e il cristianesimo. Una religione
monoteista che non ammetteva concorrenti e che vedeva il peccato in quelle
parole vergate.
Non fu solo Alessandria
a cadere poco a poco e a perdere il suo sapere, anche a Roma, l’Impero inizia a
sgretolarsi, quando l’amore per la cultura lascia la città. Comincia a lasciare
il posto a cantanti e attori, fino a quando la nuova religione che ha messo
piedi induce gli amanti della letteratura a rinunciarvi in nome della fede.
Fu quindi solo fortuna
che il De rerum natura fosse trovato,
quasi 1.500 anni dopo essere stato scritto, da un appassionato umanista alla
ricerca di tesori? Sicuramente ce ne volle almeno un po’, perché fosse copiato
e ricopiato, salvato dal tempo e dalla fede, custodito in segreto e in
incognito.
Il suo salvatore, Poggio Bracciolini, nacque nel 1380 a
Terranuova, territorio controllato da Firenze, nella quale si traferì nei tardi
anni Novanta. Figlio di un notaio/farmacista, possedeva una qualità che gli
permise di risaltare: la sua grafia era molto bella.
A Firenze strinse
importanti conoscenze ma alla fine la lasciò per Roma dove divenne scrittore
apostolico, poi segretario papale e infine segretario personale del pontefice (stiamo
parlando di Giovanni XXIII, che fu deposto nel 1415 e quindi Bracciolini si
ritrovò senza lavoro e protezione). Alla fine tornerà a Roma e farà la sua
fortuna, ma non prima di aver girovagato un po’ alla ricerca di manoscritti, arrivando
fino in Inghilterra.
Leggendo questo libro mi
sono ovviamente chiesta di cosa parlasse il De
rerum natura (“Sulla natura delle cose”), un poema filosofico, e per
fortuna Grennblatt elenca alcuni nodi
della visione lucreziana. Li riporto per aiutarvi a farvi un’idea.
· «Ogni cosa è fatta di
particelle invisibili.»
· «Le particelle
elementari della materia – “i semi delle cose” – sono eterni.»
Le
forme che vediamo sono temporanee, ma i mattoncini da cui sono composte sono
eterni. Il tempo è infinito.
· «Le particelle elementari
sono infinite nel numero, ma limitate nella forma e nelle dimensioni.»
· «Le particelle si
muovono in un vuoto infinito.»
L’universo
è fatto di materia e spazio.
· «L’universo non ha un
creatore o un architetto.»
Non
c’è un piano che regola la materia e la vita, con un fine preciso. È il caso
che domina su tutto.
· «Ogni cosa prende
origine da una deviazione.»
Se
le particelle andassero tutte in un'unica direzione non ci sarebbe nulla. La
deviazione è un movimento minimo che fanno le particelle e che è sufficiente a
creare scontri, da questi nascono tutte le cose.
· «La deviazione è la
fonte del libero arbitrio.»
La
deviazione delle particelle è casuale. Secondo Lucrezio anche se una forza
esterna spinge l’uomo questi può decidere di tirarsi indietro. Devo ammettere
che questo punto non mi è molto chiaro.
· «La natura sperimenta
senza sosta.»
· «L’universo non fu
creato per o intorno agli esseri umani.»
· «Gli esseri umani non
sono unici.»
· «La società umana non
iniziò in un’età dell’oro in cui prevalevano la tranquillità e l’abbondanza,
bensì durante una battaglia primitiva per la sopravvivenza.»
La
civiltà non è stata donata agli uomini da un essere divino, se la sono
guadagnata. Essi, tuttavia, si sono portati dietro anche il desiderio di
potere, fama e ricchezza, che la minano e li portano a torcersi gli uni contro
gli altri.
· «L’anima muore.»
Perché
essa è fatta dello stesso materiale che compone il corpo, non possiamo
individuarla perché è formata da particelle troppo piccole. Lucrezio la
paragona al profumo del vino, non possiamo misurarlo.
· «L’aldilà non esiste.»
Se
l’anima muore col corpo, non possono esserci ricompense o punizioni postume.
· «La morte non è nulla
per noi.»
Una
volta morti non siamo più, perciò non possono esserci né dolore né rimpianto.
· «Le religioni organizzate
sono illusioni superstiziose.»
Gli
esseri umani proiettano immagini di ciò che vorrebbero avere e creano gli dèi
basandosi su queste aspettative, divenendo così schiavi dei loro stessi sogni.
· «Le religioni sono tutte
crudeli.»
Promettono
amore ma si basano sulla crudeltà. Il loro simbolo principale è il sacrificio
del figlio da parte del genitore. Ifigenia da Agamennone, Isacco da Abramo.
Lucrezio non avrebbe potuto prevedere il sacrificio di Cristo, ma non ne
sarebbe stato stupito.
· «Non esistono angeli,
demoni o fantasmi.»
· «Lo scopo supremo della
vita umana è l’aumento del piacere e la riduzione del dolore.»
Bisogna
perseguire la felicità.
· «Il maggiore ostacolo al
piacere non è il dolore, bensì l’illusione.»
È
la fantasia del piacere infinito che finisce per portare angoscia anziché
felicità.
· «Comprendere la natura
delle cose genera profondo stupore.»
Comprendere come stanno
le cose, che non c’è un creatore e che non siamo al centro dell’universo per
esempio, non porta disperazione ma felicità. Il desiderio insaziabile e la
paura della morte la ostacolano, ma la ragione può aiutarci a superarli.
Secondo Lucrezio la conoscenza non placa lo stupore ma anzi, la liberazione
delle illusioni, lo risveglia.
Poggio Bracciolini non
analizzò mai apertamente la filosofia lucreziana, ma questo non diminuisce
certo il valore della sua scoperta. Furono altri a dedicarsi a Lucrezio e alla
sua visione, che fu una profonda provocazione intellettuale e creativa.
Oltre a riportare nei
pensieri e nei discorsi l’epicureismo e la sua ricerca del piacere, nei secoli
che seguirono il De rerum natura
influenzò molti scrittori. Per esempio Tommaso
Moro, con il suo Utopia. La sua
profonda fede non gli impedì di abbracciare l’epicureismo, anche se lo
modificò. La lontana civiltà da lui immaginata ricerca il piacere ma crede
nell’anima immortale, nell’aldilà e in qualche divinità. Questo perché per Moro
era l’unico modo di controllare gli esseri umani, che senza la paura non
avrebbero freni; essa può essere sradicata solo da una piccola élite, non da
tutta la società.
Un altro ad essere
influenzato fu Giordano Bruno. Negli
anni Ottanta del ‘500 in una sua pubblicazione, Spaccio de le bestia trionfante, troviamo tutte le innumerevoli
cose di cui è incaricato Mercurio per conto degli dei: quanti capelli deve
bruciarsi una signora, quanti insetti vengono schiacciati da un tale, etc… Poi
Mercurio finisce per affermare che «c’è
un ordine nell’universo, ma è intrinseco alla natura». Siamo nell’universo
lucreziano.
Tutto ciò contribuì a
far guadagnare a Bruno un’accusa d’eresia e l’imprigionamento a Roma, infine il
rogo. Non si pentì né ritrattò.
Potevano zittire Bruno
ma non Lucrezio, le cui parole continuarono a rivivere nelle opere di scrittori
e artisti rinascimentali, che infastidivano la Chiesa meno di filosofi e
scienziati.
La sua influenza non è
limitata al territorio italiano. Basti pensare a Shakespeare, Spenser, Donne,
Bacone, Montaigne. Quest’ultimo fu
influenzato particolarmente su sesso e morte - “vivere la vita con piacere e affrontare
la morte con dignità”.
Per la Chiesa la vera preoccupazione
non era l’idea degli atomi in sé - «il
mondo doveva pur essere formato da qualcosa» -, ma per le tesi che vi si
collegano. I teologi si rifacevano ad Aristotele e la sua distinzione fra
«accidenti» e «sostanza» per spiegare come l’ostia che sapeva e odorava di pane
fosse la carne di Cristo. Il problema dell’atomismo è che nega questa distinzione,
ciò andava a rafforzare i sostenitori della Riforma (che negavano la
transustanziazione) e quindi minare la dottrina cattolica.
Non dimentichiamo poi Galileo Galilei, che - come Lucrezio - sosteneva
non ci fosse una gran differenza tra la natura dei pianeti e dei loro abitanti,
che la ragione permettesse di comprendere l’universo, che bisogna seguire i
propri sensi e non un dettame religioso, che tutto fosse composto da «un repertorio limitato di atomi organizzati
in combinazioni infinite».
Infine, nel XVII secolo
incominciarono a circolare versioni tradotte del De rerum natura e non si poteva più giustificare la sua
circolazione con i suoi pregi artistici.
Per concludere, Greenblatt
non si limita a narrarci di come Poggio Bracciolini trovò il manoscritto, il
suo è un viaggio che inizia molto tempo prima. Passando dalla Grecia, da Roma,
da Alessandria d’Egitto, ripercorriamo le strade delle culle della cultura
occidentale per scoprire da dove e da chi nasce il De rerum natura per poi tornare nell’Italia di fine ‘300 da Poggio
e la sua storia.
Secondo Greenblatt
abbiamo potuto dimenticare Lucrezio e Braccialini perché ormai la teoria del
primo «era orami stata metabolizzata
dalle correnti tradizionali del pensiero umano». Quelle idee, quella
visione, fanno ormai parte del nostro essere così a fondo che ne abbiamo
dimenticate le radici.
Nota
Il titolo inglese è The swerve: how the world became modern,
che potremmo tradurre con La sterzata:
come il mondo divenne moderno. Apprezzo il titolo originale perché non si
focalizza esageratamente sul manoscritto di Lucrezio e, invece, abbraccia tutto
il movimento rinascimentale e ciò che ne seguì.
*Ercolano: durante gli
scavi archeologici in questa città è stata rinvenuta la Villa dei Papiri,
un’abitazione privata che comprendeva una biblioteca di oltre 1.800 papiri.
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