La scimmia nuda – Studio zoologico sull’animale uomo – Desmond Morris

Traduzione di Marisa Bergami
Bompiani
262 pagine

Questo saggio sull’uomo è uno dei più conosciuti del genere, per lo meno al grande pubblico, e in esso Morris (che tra le altre cose è uno zoologo ed etologo – cioè studia il comportamento dell’animale uomo) affronta la nostra specie con più distacco e professionalità possibili. Egli vuole osservare quest’unica scimmia nuda come un qualsiasi zoologo osserverebbe un altro animale.
Questo è sicuramente un punto di vista avvincente e come il titolo suggerisce la prima domanda che uno studioso si farebbe osservandoci e comparandoci agli altri medio/piccoli mammiferi di terra è: perché non abbiamo peli che ricoprono tutto il nostro corpo?
Spoiler: secondo Morris la risposta è la caccia. Questa è un’attività dispendiosa che ci surriscaldava molto (poiché non siamo progettati bene come i carnivori di terra) e per poterci raffreddare velocemente abbiamo perso il pelo e iniziato a sudare copiosamente.

Il libro è diviso in capitoli che ripercorrono: le origini, le abitudini sessuali, l’allevamento, l’esplorazione, la lotta, l’alimentazione, il benessere e gli altri animali.
Si tratta di un saggio divulgativo di facile lettura e contiene idee e spiegazioni sulla nostra evoluzione e su come mai oggi siamo quello che siamo, sia per quanto riguarda l’aspetto sia il comportamento. È importante sottolineare che per Morris queste nostre caratteristiche sono (praticamente tutte) di origine biologica, non culturale. Dalla monogamia a quando una ragazza sceglie di avere la sua prima volta. Personalmente, benché creda che la biologia possa anche fare da padrona, do decisamente una maggior importanza all’aspetto culturale e a come questo e la società in cui ci troviamo influenzino il nostro modo di agire. A volte mi sembra che sia un po’ troppo semplicistico dire che si tratta solo di biologia.
Non bisogna dimenticare che questo saggio risale agli anni ’60, la società e i comportamenti erano diversi - Morris per esempio menziona che il 50% delle donne aveva rapporti prematrimoniali e anche se è vero che ci si sposava più giovani una volta, non credo che questo dato rispecchi la realtà odierna. Mi sembra che alcune sue idee siano influenzate dai suoi tempi, dagli stereotipi e dai pregiudizi che ne facevano parte. Oltre al caso sopramenzionato ce ne sono altri, per esempio, dubito che un uomo “diventi” omosessuale perché non ha avuto una figura paterna abbastanza forte durante l’infanzia…

Inoltre, sempre secondo Morris, bisogna tener conto solo delle culture che hanno avuto più successo (ovviamente parte da quella del Nord America). Ma non dovremmo considerare anche la capacità di adattamento della nostra specie? In fondo, siamo riusciti a diffonderci su tutto il pianeta proprio per questo. I luoghi in cui risediamo influenzano in qualche modo la nostra società, bisogna ricordare che molti comportamenti e regole sono nati per un motivo logico (e magari con l’avanzare della tecnologia sono diventati superflui e desueti). Per esempio in Tibet, Nepal e altre zone a Nord dell’India sono esistite (o esistono ancora con gli stessi o diversi costumi, non lo so) popolazioni nelle quali si praticava la poliandria fraterna, cioè una donna sposava due o più fratelli. Questo aveva lo stesso scopo della primogenitura in Inghilterra, il terreno era poco e non si poteva suddividere. In questo modo rimaneva a un unico nucleo famigliare e si limitavano, presumo, le nascite. Magari per noi questo non è il sistema ideale, magari se ne avrebbero potuti usare anche altri, ma avrà avuto la sua efficacia. Anche se è stato un comportamento di pochi, anche se ora non viene più praticato, se ha funzionato e ha permesso a un popolo di prosperare finché non si sono presentate altre possibilità, non possiamo dire che i qualche modo ha avuto successo?
In conclusione, solo perché qualcosa non fa parte della popolazione che è riuscita ad espandersi di più, possiamo banalmente minimizzare il comportamento estraneo ad essa come biologicamente non dominante? Non è semplicemente un fatto culturale invece che biologico, dettato da condizioni e luoghi diversi? Questo al di là di qualsiasi giudizio morale.

Un altro punto che non mi ha convinta tratta l’alimentazione. Morris si chiede per quale motivo scaldiamo il cibo e lo mangiamo ancora caldo, menzionando tre teorie: perché simula la temperatura della preda, perché rende tenera la carne, perché ne migliora il gusto.
Non mi è del tutto chiaro che cosa intenda dire. Per scaldare vuol dire cucinare o si chiede perché non mangiamo il cibo freddo una volta cucinato? Credo che si riferisca alla prima spiegazione perché la seconda teoria parla di carne tenera, che lo diventa dopo essere stata cotta, e la terza di gusto, e quello del cibo cambia cuocendolo. Una piccola nota, non so se sia Morris a non spiegarsi bene o invece sia un errore di traduzione, io comunque mi baso su quello che leggo tradotto.
Il punto importante secondo me è questo. Noi non scaldiamo semplicemente il cibo, noi lo cuciniamo, lo trasformiamo e Morris non accenna neanche a dei motivi importanti per cui lo facciamo.
D’accordo, c’è il gusto, ma non sarà stata la ragione principale. Parla la tenerezza della carne cotta ma sottolinea come non spieghi perché la mangiamo calda o perché “scaldiamo” (credo si debba leggere come cuociamo) cibo che non necessità di essere reso tenero. Ora, non so perché ci piaccia il cibo caldo a parte il gusto, ma ci sono buone ragioni per cucinarlo. Perché così è: più facilmente consumabile (vuoi mettere stare a ruminare a lungo un pezzo di carne cruda o altro invece di masticare più velocemente del cibo cotto), digeribile e commestibile (patate, pollo), e se non sbaglio ne assimiliamo meglio i nutrienti in alcuni casi, soprattutto se consumato subito dopo la cottura poiché poi essi si perdono (ok, questa è una cosa che i nostri antenati non sapevano, ma il cibo si deteriora, perché mangiarlo appena cotto e basta sembra strano?).

È un saggio divulgativo, che arriva a semplificare troppo un po’ tutto, con spunti interessanti ma diverse conclusioni ed ipotesi (non solo quelle da me citate) non mi convincono, anche se sono una profana. Mi aspettavo di più vista la fama di quest’opera, soprattutto dopo essermi interessata all’antropologia grazie a Jared Diamond.

Sicuramente negli ultimi decenni sono stati fatti passi avanti nel campo dello studio del comportamento umano ma è comunque curioso vedere come gli studi stessi si sono evoluti. Quindi, va bene leggerlo se si vuole capire perché è così discusso e visto che è una lettura rapida, ma ricordiamoci quando è stato scritto e riflettiamo su cosa dice.

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