L’incubo di Hill House – Shirley Jackson

Traduzione di Monica Pareschi
Adelphi
233 pagine

Eccomi per la terza volta alle prese con un libro di Shirley Jackson e come avevo previsto, non me ne sono pentita.
Cominciamo col capire di cosa parla.
Il professor John Montague è un antropologo più interessato al paranormale che alla sua materia di laurea. Spera che sia questo campo screditato da tutti a portargli fama e gloria.
Per questo motivo affitta Hill House, una sinistra casa che ha fama di essere infestata, intrappolata tra delle opprimenti colline. Nonostante la sua posizione, o forse proprio per questo, è l’ideale per poter svolgere l’esperimento da lui escogitato.
Il professore invita così delle persone che hanno mostrato, anche inconsapevolmente, delle predisposizioni nel suo campo d’interesse, pregandole di raggiungerlo a passare l’estate con lui per studiare le cause e gli effetti delle interferenze paranormali in una casa che aveva fama di essere “stregata”.
In pochi rispondono all’invito e finiscono per presentarsi solo Eleanor, una ragazza che cerca solo un posto dove andare/fuggire dopo la morte della madre, e Theodora, uno spirito più libero. È presente anche un ragazzo, Luke, nipote della proprietaria della casa e presente per suo ordine.

Fin dal loro arrivo possono subito avvertire che c’è qualcosa di non naturale nella casa, qualcosa di nascosto che riesce a scuoterli nel profondo, ma a parte questo non succede niente per il momento. Shirley Jackson prepara  il terreno con calma, non ha fretta, aspetta i tempi giusti.
Hill House confonde i suoi abitanti, trasmettendo orrore e paura, e li osserva con occhi vigili. È viva, li ascolta, li inganna, a tratti pare anche rassicurarli, per fargli abbassare la guardia, creando contrasti fra timore e felicità.
La paura, anche quando pare concretizzarsi, è discreta e sottile, lasciando sempre il dubbio su quando sia salda la propria mente. E più passa il tempo, più la casa ha potere su di loro, più li può controllare, tanto che anche le loro emozioni ne sono scosse e incontrollate. La casa li sta cambiando.
Hill House è subdola perché non distrugge con mostri in carne ossa, che in realtà sarebbero un sollievo, ma attraverso la mente. Vedere un mostro, identificarlo, renderlo reale, sarebbe addirittura rincuorante, ma la casa non lo permette.
Che Hill House sia una casa o semplicemente un oscuro recesso della mente poco importa, poiché il vortice degli eventi non fa altro che condurre a un epilogo inevitabile e che non si può ignorare.

Ho apprezzato quest’opera, elegante nell’incedere tranquillo ma irreversibile. Per intrappolare anche noi lettori, senza che ce ne rendiamo conto.

Ecco a voi l’incipit:

“Nessun organismo vivente può mantenersi a lungo sano di mente in condizioni di assoluta realtà; perfino le allodole e le cavallette sognano, a detta di alcuni. Hill House, che sana non era, si ergeva sola contro le sue colline, chiusa intorno al buio; si ergeva così da ottant’anni e avrebbe potuto continuare per altri ottanta. Dentro, i muri salivano dritti, i mattoni si univano con precisione, i pavimenti erano solidi, e le porte diligentemente chiuse; il silenzio si stendeva uniforme contro il legno e la pietra di Hill House, e qualunque cosa si muovesse lì dentro, si muoveva sola.”

Da questo libro sono stati tratti due film, uno del 1963 e uno del 1999. Nella versione originale entrambi sono intitolati The Haunting (L’infestazione), dal titolo dell’opera The hunting of Hill House. Mi è capitato di vedere il film più recente e devo dire che centra poco con quello scritto dalla Jackson e lascia alquanto a desiderare.

D’altra parte, non so proprio come si potrebbe riportare questo libro sullo schermo in modo convincente. L’ambiguità del romanzo è data anche dal suo essere scritto e dal lasciare a noi il compito di fornirlo d’immagini. Cosa è reale e cosa non lo è? Questa distinzione è più difficile in un libro che in un film, che oltretutto ci fornisce già un’interpretazione degli eventi.

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