Il supplizio del legno di sandalo – Mo Yan
Traduzione di Patrizia
Liberati
Einaudi
504 pagine
Sun Bing è condannato a
morte, ma la sua non sarà una semplice esecuzione. A lui è riservato il
supplizio del legno di sandalo.
Non può morire velocemente
perché deve fare da esempio, la sua sofferenza deve essere un monito per tutti:
nessuno può ribellarsi. Voler combattere le forze imperialistiche straniere è
una grave colpa, non importa se Sun Bing è finito per caso in questa lotta.
Avrà una morte forse più
famosa della sua vita, perché a dirigerla sarà il suo consuocero Zhao Jia,
famoso boia della dinastia che ha servito l’imperatore per quarant’anni.
Comincia così quest’Opera dei gatti (dico questo perché alcuni
brani di questa forma di recitazione sono sparsi nel libro), dove vengono
cantate le gesta di Sun Bing e di quei tanti personaggi che lo accompagnano
verso la sua fine. Troviamo il canto della figlia Sun Meniang, del consuocero,
Zhao Jia, del genero, Zhao Xiaojia, del magistrato, Qian Ding, e ovviamente
dello stesso Sun Bing, il maestro di quest’opera. Tanti racconti, tanti punti
di vista che raccontano le vite di questi abitanti del Gaomi, spostandoci sulla
terra ma anche nel tempo. Credo proprio che a Mo Yan piacciano i flashback,
sempre usati per fare un tuffo nel passato e approfondire i personaggi.
Nel leggere questo libro credevo
che la parte più difficile da superare sarebbe stata la descrizione vera e
propria della tortura finale, invece è stata un’altra di quelle presentate a
sconvolgermi di più. Forse perché Mo Yan scrive in modo così vivo, lento,
inesorabile. Dura pagine e pagine e sembra non finire, un tormento infinito.
Per tornare a Sun Bing e alla
sua fine, tutto il libro è una preparazione a questo. Arrivati al momento
giusto, siamo al culmine del racconto, dove l’opera e la tortura hanno
acquistato potenza. Gli animi di tutti sono al massimo, tutto il libro è stata
una preparazione a questo. Dopo aver sviscerato i personaggi, i loro pensieri,
le loro storie. Eccoli lì tutti sul palco pronti a recitare l’ultima parte.
La scrittura di Mo Yan è
densa e coinvolgente come poche, e proprio come in Sorgo Rosso sembra riuscire a fare tue realtà distanti.
Per comprendere meglio
l’autore e l’animo di questo libro, desidero riportare la nota del medesimo
scritta alla fine:
“Le lunghe descrizioni dei terribili supplizi che si trovano in
questo libro hanno lo scopo di far conoscere al lettore le barbarie e gli
orrori che si sono verificati nel corso della storia, per risvegliare in lui un
cuore compassionevole.
Solo chi è dotato di compassione può essere particolarmente
sensibile alle manifestazioni del male.
Il motivo per cui ho potuto e voluto scrivere un libro del genere è
perché nella vita attuale continuano a verificarsi crimini che provocano la
nostra indignazione e che per di più vengono lodati e premiati.
Sono un uomo debole che versa lacrime vedendo un carrettiere che
frusta il suo cavallo: ogni violenza, passata e presente, mi turba nell’intimo.
In questo libro ho trattato i motivi sociali che provocano la
violenza, la psicologia malata di chi la pratica e l’apatia di chi vi assiste.
Soltanto chi conosce il male può evitarlo: soltanto conoscendo il
demone che si nasconde nel cuore umano si può diventare santi.”
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