Indios, cinesi, falsari – Le storie del mondo nel Rinascimento – Giuseppe Marcocci
La Terza
193 pagine
La storia. L’unica vera
testimone delle vicende di questo vasto mondo.
Non dobbiamo però
dimenticarci che, in fondo, è scritta da esseri umani. Con le loro mancanze,
che finiscono per trasmettere inevitabilmente ai testi che scrivono, sia per
errore sia deliberatamente.
In ogni caso, essa rimane una
materia fondamentale trattata in tutte le epoche, tra le quali il Rinascimento.
Com’era trattata dagli storici contemporanei? Un tempo così ricco di scoperte e
novità, dove gli orizzonti del mondo continuavano ad espandersi per quanto
provassero a raggiungerli. Scoprendo popoli e realtà lontani dalla quotidianità
di un europeo.
Tra una conquista e
un’evangelizzazione, la rivelazione dell’esistenza di genti mai viste prima,
con le loro usanze e il loro passato, scosse non poco gli abitanti del vecchio
continente. Vivevano a chilometri e chilometri di distanza, parallelamente a
loro e in una terra sconosciuta. E cosa più importante, non ve ne era menzione
nei testi antichi o nella Bibbia.
Le storie “mondiali” che si iniziarono
a scrivere durante il Rinascimento cercavano appunto di collocare gli uomini
del nuovo mondo nell’universo europeo. Si cercava un’unità nella storia del
mondo, una risposta alle trasformazioni in atto, ma mito e realtà si fondevano
per riuscire a saziare un bisogno di completezza che era vivo e incontentabile
.
Certo, erano storie
“mondiali” per modo di dire, visto l’eurocentrismo imperante. Questo non solo
per via delle poche informazioni delle realtà lontane riportate, ma anche per come
esse erano rappresentate. In molti casi relegate a semplici curiosità o
comunque a qualcosa di estraneo e non realmente importante. Solo in pochi casi
i fatti appartenenti a popoli lontani erano riportati sullo stesso piano di
quelli europei.
Inoltre, in genere questi
testi erano dedicati a qualcuno, un re, un sovrano, e servivano in qualche modo
a legittimarne le conquiste. Dare voce alle storie del mondo non era ritenuto
solo un modo per servire il mondo, ma poteva essere usato anche per i propri
fini. Al servizio del potere.
Gli uomini, con il loro credo,
la loro nazionalità, le loro idee politiche, vedono tutti il mondo dal loro
punto di vista. Per questi autori era impossibile ignorare le proprie
tradizioni e i propri metodi. Europei o non che fossero. Cercano di
organizzarlo per poterlo capire meglio, ma alla storia non piacciono le
etichette e tutto è in qualche modo collegato.
E in fondo, sarà mai
possibile scrivere una storia universale? O è piuttosto un insieme di storie?
Il mondo è sempre stato più
connesso e collegato di quanto non possiamo pensare, da tanti fili sottili
indiscutibilmente veri. Ed ecco che in Perù un indio quechua di nome Don Felipe
Guaman Poma de Ayala, nel tentativo di riaffermare il suo diritto su delle
terre e rifiutare l’autorità diretta degli spagnoli, cita nel suo manoscritto
inviato al re Filippo III nel 1615 l’opera di Hans Böhm (Omnium gentium mores, leges et ritus, un’enciclopedia di costumi,
istituzioni e riti, dell’Africa, dell’Asia e dell’Europa, ma non dell’America).
Un umanista tedesco e cappellano di Ulm vissuto tra ‘400-‘500 il cui lavoro
ebbe luce nella Baviera del 1520.
È stato interessante andare
alla scoperta di come vedevano il mondo e di come ne parlavano nell’epoca della
rinascita intellettuale d’Europa. Di come si rimanesse ancora ancorati al passato
e di come pochi cominciassero a vedere al di là di loro stessi.
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