La peste scarlatta – Jack London
A cura di Ottavio Fatica
Adelphi
94 pagine
L’umanità ha trovato la sua fine e ciò che ne rimane
attraversa una nuova età della pietra. A portare sulla soglia dell’estinzione
la nostra specie è stata la peste scarlatta, iniziata a diffondersi nel 2012 si
è propagata a una velocità impressionante, mietendo vittime a più non posso e
uccidendo con estrema rapidità.
Apprendiamo tutto ciò grazie a un vecchio, che nel 2073 è
ormai l’ultima testimonianza di un mondo cancellato. Seduto intorno al fuoco
insieme ai giovani nipoti, rievoca l’inizio della peste, la civiltà e predice
persino il futuro: la storia è destinata a ripetersi.
Anche con gli occhi di
oggi non possiamo non scorgere la modernità di questo racconto, pubblicato nel
1912, che con il suo descrivere un mondo post-apocalittico porta alla luce le
paure dei giorni nostri. Quanti di noi si chiedono che fine faremo, dove le
nostre azioni ci porteranno e se la nostra specie raggiungerà mai un punto di
rottura.
L’umanità che vi è narrata è socialmente
divisa e governata da un gruppo di pochi, la maggior parte della popolazione è
sfruttata da questa minoranza. Quando arriva l’apocalisse e la morte e il fuoco
distruggono tutto ciò che l’uomo ha creato, gli esseri umani non sono in grado
di unirsi e sorreggersi a vicenda. Come potrebbero? Sono pochi quelli a
prestare aiuto, ognuno pensa a se stesso e lascia sfociare la propria rabbia e
impotenza. Nel caos che leggiamo, non possiamo non chiederci come ci
comporteremmo. Come reagiremmo a una catastrofe tale da porre fine alla
civiltà? Riusciremmo davvero a tirar fuori il meglio di noi o abbandonata ogni
speranza finiremmo per cedere alle più vili e ignobili azioni? Possiamo solo
sperare di non scoprirlo mai.
Lo stesso vecchio sembra
approvare la discriminazione e la disparità dell’epoca che è stata cancellata.
Proprio come gli altri che la vivevano (o almeno quelli che la vivevano al
meglio) la approvava e pensava di essere lui quello sempre nel giusto.
Rispecchia egli stesso la realtà che descrive.
Con la caduta dell’uomo
sopraggiunge anche un profondo isolamento, che oggi, in un mondo sempre più
connesso (ancor più di quello immaginato da London), non potremmo neanche
concepire. Non sapere cosa accade dall’altra parte del globo, o anche solo a
pochi chilometri da noi, è inconcepibile.
“Non accorsi in aiuto del droghiere. Non era più tempo per
gesti simili. La civiltà crollava e ognuno doveva pensare a se stesso.” Pag. 48
“New York e Chicago erano in preda al caos. E quanto era
successo lì succedeva in tutte le grandi città. Un terzo dei poliziotti
newyorkesi erano morti. Morto il capo della polizia, come pure il sindaco.
Scomparsi l’ordine e la legalità. I cadaveri restavano senza sepoltura,
abbandonati per la strada. I rifornimenti ferroviari e marittimi di viveri e
degli altri generi di prima necessità non raggiungevano più i grandi centri
urbani e bande di poveri affamati si erano messe a saccheggiare magazzini e
depositi. Imperavano l’assassinio, la rapina e l’ubriachezza. La popolazione
era già fuggita in fretta e furia dalla città… per primi i ricchi, a bordo
delle loro automobili e dei loro dirigibili, seguiti dalle masse appiedate e
affamate, portandosi dietro la peste, saccheggiando lungo il tragitto le
fattorie e i villaggi, ogni centro abitato.” Pag. 43
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