Yeruldelgger – Morte nella steppa – Ian Manook

Traduzione di Maurizio Ferrara
Fazi Editore – Collana Darkside
524 pagine

Ho sempre adorato come i libri permettano di scoprire luoghi e persone nuovi, dandoci la possibilità di coprire chilometri e chilometri in poche pagine e facendoci conoscere culture ai nostri antipodi.
Con Ian Manook ho scelto di partire per la Mongolia, un paese del quale continuo a non sapere praticamente niente, ma mi sembra di averci dato una sbirciata.

Morte nella steppa è un romanzo giallo ambientato nella Mongolia contemporanea e spazia dalle steppe a Ulan Bator, la capitale. Yeruldelgger è un commissario che cerca di far bene il suo lavoro mantenendo sempre intatto il suo senso di giustizia, forse è ciò che gli rimane dopo una famiglia distrutta alle spalle.
Nell’adempimento del suo dovere s’imbatte in due casi che paiono non poter essere il più distante l’uno dall’altro: una bambina straniera seppellita con suo triciclo nella steppa e tre cinesi uccisi e mutilati a Ulan Bator.
Yeruldelgger saprà portare la luce su questi eventi senza farsi ingannare dalle apparenze e salvando il poco che gli resta?

Un giallo molto interessante, così diverso da quelli ai quali sono abituata a leggere e che sono di stampo più “classico”. Alla Agatha Christie e Conan Doyle diciamo. Un omicidio, indizi, sospettati, soluzione.
In questo caso sono un po’ uscita dalla mia zona di sicurezza per affrontare un mistero per certi versi più complesso e in scala più vasta. Il commissario deve portare le sue indagini da una parte all’altra della Mongolia, per scovare assassini e mistificazioni. Una caccia lunga e dolorosa, che metterà alla prova se stesso e quello in cui crede. Fino ad agire per giustizia e vendetta più che per legge.
Un romanzo crudo e duro, che non risparmia nessuno, tutti i personaggi ne escono cambiati e provati. Perché ciò che viene portato alla luce non può scivolare sopra nessuno senza conseguenze. Il tutto va a formare un intreccio ben fatto che tiene col fiato sospeso fino alla fine. La soluzione non è facile e forse non c’è davvero, perché l’identificazione di un colpevole non sempre allevia il cuore. La scoperta della verità può invece lacerarlo.

Ho apprezzato come in questo libro la modernità s’incontra con la tradizione, la città con la steppa. Questo perché, pur essendo un giallo a tutti gli effetti, la sua materialità si mischia a qualcosa di più astratto. Come se la memoria e il folclore non potessero essere sradicati da questo paese e che anche quelli che hanno dimenticato siano in qualche modo coinvolti.
È affascinante. Realtà e usanze si mescolano in un amalgama ben riuscita e gesti, personaggi, situazioni, che traslati in occidente risulterebbero irrealistici e fuori luogo, finiscono per essere invece perfettamente al loro posto.
Nomadi e monaci, per quanto misteriosi e inafferrabili, risultano concreti e reali. Niente è esagerato, ma è tutto un sussurro. Anche l’incredibile sembra credibile. E non sembra superstizione, ma antica saggezza. Per quello che non è solo un giallo ma un viaggio alla scoperta di un popolo che non ha dimenticato chi era.

“La notte era così buia che Yeruldelgger non distingueva più il cielo nero dall’ombra profonda degli alberi. Nessuna stella, nessun riflesso di luna. A un tratto ebbe l’impressione di galleggiare in un abisso di tenebre. Oltre la radura, si estendevano le foreste immense fino alle montagne e ai laghi, fino alle steppe e, più oltre, fino ad altri paesi e ad altri oceani tenebrosi, fino al mondo intero nel cuore di un universo vuoto e siderale. Gli parve di essere l’unico a vivere ancora in quel grande nulla. Eppure era pronto a rimanere da solo nell’universo spento se quello era il prezzo da pagare per le risposte che aspettava. Ma nessuna voce riecheggiò nella notte. Nessun mormorio. Nessuna parola. E all’improvviso il freddo e la stanchezza gli pizzicavano i fianchi.
«Nerguii?».
Yeruldelgger non ebbe alcuna risposta. Era da solo nella notte ormai da molto tempo.”
Pag. 294

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