L’opera al nero – Marguerite Yourcenar

Traduzione di Marcello Mongardo
Feltrinelli
299 pagine

Non ti diedi né volto, né luogo che ti sia proprio, né alcun dono che ti sia particolare, o Adamo, affinché il tuo volto, il tuo posto e i tuoi doni tu li voglia, li conquisti e li possieda da solo. La natura racchiude altre specie in leggi da me stabilite. Ma tu che non soggiaci ad alcun limite, col tuo proprio arbitrio al quale ti affidai, tu ti definisci da te stesso. Ti ho posto al centro del mondo affinché tu possa contemplare meglio ciò che esso contiene. Non ti ho fatto né celeste né terrestre, né mortale né immortale, affinché da te stesso, liberamente, in guisa di buon pittore o provetto scultore, tu plasmi la tua immagine.

Pico della Mirandola, Oratio de hominis dignitate

Nel ‘500 Zenone, uomo ricco di misteri, in parte alchimista, in parte medico e, perché no, anche filosofo, si aggira per l’Europa. Le sue ricerche lo portano a spaziare tra saperi, genti e luoghi. Sempre alla ricerca di qualcosa, sempre studiando, gli eventi storici gli passano accanto indifferentemente, proprio a lui che è il miscuglio di uomini (Paracelso, Leonardo da Vinci, Erasmo da Rotterdam…) che segnarono la storia del Rinascimento.
E così, mentre si aggira dietro le quinte del mondo, osserviamo con lui la società, le paure, le credenze, di una realtà meno fittizia di quanto crediamo. Perché come la stessa Yourcenar illustra nelle note alla fine del libro, un romanzo storico fondato su un personaggio immaginario non richiede meno lavoro di una biografia. La sua fu una ricerca durata anni, una continua modifica al testo che oggi conosciamo.

Mi è piaciuto questo libro, anche se sono stata più affascinata dalle Memorie di Adriano.
La figura di Zenone sembra essere al di sopra di coloro che la circondano, capace com’è di vedere al di là delle piccolezze umane e della nostra insignificanza, all’interno di un tutto ben più grande. Un’indifferenza da scienziato che lo estranea dai suoi contemporanei.
Tuttavia, ho apprezzato come la parte umana di questo medico errante venga alla superficie e sorgendo dalla stessa terra da cui proveniamo tutti, mostra una concretezza tangibile. Zenone non è più, allora, una semplice astrazione che viaggia senza farsi notare, diventa un solido compagno che fa sentire noi stessi più reali.

«Qualcosa in lui si spezzò come una corda; gli si inaridì la saliva; i peli dei polsi e del dorso della mano si drizzarono; batteva i denti. Questo disordine mai provato nella sua persona lo spaventò più di tutto il resto della sua sventura; stringendosi con le mani le mascelle, respirando profondamente per frenare il cuore, riuscì a reprimere quella specie di insurrezione del corpo.» p.278-279

Una curiosità che mi è venuta appena letto il titolo è appunto quella che riguarda la sua origine. Esso è ispirato a una formula alchemica tradotta così in francese (L’ouvre a noir) dal latino o dal greco. Ecco una spiegazione tratta dalle note alla fine del testo.

«La formula l’Opera al nero data come titolo al presente libro designa nei trattati alchimistici la fase di separazione e di dissoluzione della sostanza ed era, pare, la parte più difficile della Grande Opera. Si discute tuttora se tale espressione venisse applicata ad audaci esperimenti sulla materia o se si riferisse simbolicamente al travaglio dello spirito nell’atto di liberarsi dalle abitudini e dai pregiudizi.» p.293


Da questo libro è stato tratto un film nel 1988.

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