Giro di vite – Henry James

A cura di Alex R. Falzon
Con un saggio di Harold Bloom
341 pagine – testo originale a fronte
Mondadori

Pubblicato per la prima volta nel 1898, questo lungo racconto di Henry James riporta la “testimonianza” di Miss Giddens, una giovane ma volenterosa istitutrice. È incaricata di occuparsi dei nipoti, rimasti orfani, di un facoltoso signore, che non intende minimamente occuparsene. La giovane Flora e il fratello maggiore Miles si rivelano essere due bambini splendidi, perfettamente inseriti nell’atmosfera bucolica della casa di campagna dell’Essex, dove vivono. L’istitutrice è quindi ben predisposta e pronta a prendersi cura di loro.
Che cosa potrà mai turbare questa quiete?
Inizialmente è una lettera che arriva dal collegio di Miles, prima del suo rientro, nella quale si comunica che è stato espulso. Questo fa preoccupare l’istitutrice, ma ogni suo timore viene dissipato quando incontra il bambino, un vero angelo.
Quello che però inizia a destabilizzare veramente la giovane è una raccapricciante visione, quella di un uomo con i baffi e i capelli rossi. Miss Giddens arriva a confidarsi con la governante, la signora Grose, che le rivela che la descrizione corrisponde a Peter Quint, ex domestico personale del padrone. In seguito un’altra figura si unisce all’uomo, quella dell’istitutrice precedente, Miss Jessel. Stando alla signora Grose, una donna ignorante e superstiziosa, entrambi i personaggi, morti da tempo, ebbero una brutta influenza sui bambini e li ritrae come persone malvagie.
Iniziamo così a essere travolti dalla paranoia di Miss Giddens, sempre più sconvolta dopo ogni apparizione, che ci trascina nelle sue elucubrazioni disfattiste. Essa vuole proteggere a tutti i costi bambini, che all’inizio ritiene vittime dei cattivi ex domestici, fino a considerarli loro complici. Bisogna dire che la governante non è di aiuto poiché, nonostante non veda nessun fantasma, sembra non fare altro che fomentare le paure dell’istitutrice con le sue pessime opinioni sul signor Quint e Miss Jessel.

La domanda principale rimane una, esistono davvero i fantasmi?
James non ci dà una risposta neanche nel finale, che anzi mi sembra ribaltare tutto. Se prima credevamo che ci fossero davvero dei fantasmi alla fine non ne saremo così sicuri; al contrario se all’inizio dubitavamo della sanità mentale dell’istitutrice, chiuderemo il libro con dei seri dubbi sull’esistenza o meno di presenze demoniache.
Ma il punto è proprio questo. Non è importante se sono reali o meno, perché in fondo, cosa vuol dire? A questo proposito trovo interessante quanto riportato nell’introduzione di Alex R. Falzon, parlando di ciò che è importante per James riguardo all’istitutrice:

“… il fatto stesso che esistano [i fantasmi] nella sua mente è quanto basta per conferirgli una realtà concreta, talmente concreta da poter agire sul presente, trasformandolo.”

James scrive anche:

“Lo straordinario è tanto più straordinario in quanto accade a voi e a me, e ha valore (valore per gli altri) solo in quanto visibilmente sentito da noi.”

Queste osservazioni non possono non farmi pensare a un altro libro che ho letto recentemente: L’incubo di Hill House. Infatti, anche Shirley Jackson ci lascia col dubbio alla fine e ognuno di noi sceglie se credere alla veridicità delle apparizioni. E proprio come nell’opera della Jackson, anche in quella di James non è importante se si siano verificate sul serio. Perché sia che fossero reali, sia che fossero il parto di una mente ormai sempre più spezzata, il risultato è lo stesso. Erano vere per chi le ha sperimentate e tanto basta ha influenzare irrimediabilmente le loro vite. Possiamo dire che, anche nel caso i cosiddetti fantasmi non fossero esistiti, prendono concretezza nel risultato che portano.

Nonostante la paura provata da Miss Giddens e l’aura demoniaca che sente provenire dal signor Quint e Miss Jessel, sono d’accordo con l’affermazione di Alex R. Falzon quando sottolinea come l’”atmosfera malefica” sia “totalmente vaga”.
Come ho accennato all’inizio la dimora di campagna è circondata da un clima idilliaco, reso ancor più tale dai due bambini, buoni e belli, dei quali l’istitutrice e perdutamente infatuata. I due fantasmi che arrivano a corrompere la quiete di quell’estate sembrano proprio fuori posto, tanto più che se ne stanno semplicemente fermi ad osservare e trasudare maleficenza. Così facendo però, irrompendo in quest’atmosfera così poco maligna, portano via la sicurezza che il sole, la luce e l’aria fresca dovrebbero comunicare a Miss Giddens. La povera istitutrice non può mai abbassare la guardia se vuole proteggere i suoi pupilli e non deve lasciarsi distrarre dall’ambiente piacevole che si crea intorno ai piccoli. Il male e il bene sono amalgamati con armonia e la quotidianità prevale, salvo essere macchiata da episodi malevoli.
Ancora una volta riporto dall’introduzione:

“I racconti gotici riusciti sono quelli dove l’elemento soprannaturale non è separato da quello naturale ma dove, al contrario, il primo è soltanto un’eco, un riverbero del secondo: il lato «insolito» deve essere un’estensione di quello «quotidiano» e non il contrario perché, altrimenti, invece di incutere disagio, sfiorerebbe il ridicolo.”

Infine dobbiamo sempre ricordarci che abbiamo solamente il punto di vista dell’istitutrice. È lei la narratrice, è lei che sceglie (anche inconsapevolmente) cosa farci sapere. Lei ci rende partecipi delle sue paure e suo modo di vedere la realtà. Vediamo la storia attraverso i suoi occhi, che fanno da filtro e la influenzano inevitabilmente, nascondendoci chissà quali verità.

Ps: anche per questo libro, esistono innumerevoli adattamenti cinematografici. L’ultimo del 2009 è della BBC. 

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