Memorie di Adriano – Marguerite Yourcenar
Seguite da taccuini
d’appunti
A cura di Lidia Storoni
Mazzolani
Einaudi
338 pagine
Animula vagula, blandula,
Hospes comesque corporis,
Quæ nunc abibis in loca
Pallidula, rigida, nudula,
Nec, ut soles, dabis iocos…
P. ÆLIUS HADRIANUS, IMP.
Piccola anima smarrita e soave,
compagna e ospite del corpo,
ora t’appresti a scendere in luoghi
incolori, ardui e spogli,
ove non avrai più gli svaghi consueti…
Publio Elio Traiano
Adriano (76 – 138 d. C.) fu imperatore romano dal 117 d. C. fino alla sua morte.
Una figura storica importante e ricordata come un buon imperatore.
La mia conoscenza della
sua vita è praticamente inesistente e ho quindi affrontato questo libro semplicemente,
come se fosse un romanzo storico, anche se è difficile farlo rientrare in una
categoria standard. Non è propriamente neanche una biografia, né un saggio.
Queste sono le memorie
di un uomo, che ha percorso e conosciuto il suo impero, che ha superato molti
inverni e, ormai malato, sa che dovrà lasciare il mondo che ha tanto amato.
L’insieme delle esperienze, delle prove, delle decisioni, ha temprato la sua
anima e riesce, con una presa di coscienza e un ampio sguardo, in qualcosa di
cui pochi possono vantarsi. È in grado di affrontare il passato, osservarlo da
lontano, come uno spettatore critico, cercando un disegno, un significato. Ma
sa che è inutile, che se anche trovasse qualcosa sarebbe un inganno perché ciò
sta cercando non può esserci.
«[…] forse l’impossibilità di continuare a esprimersi e a
modificarsi con nuove azioni costituisce la sola differenza tra l’esser morti e
l’esser vivi.» (pag.
25)
I suoi ricordi viaggiano
fino all’infanzia risalendo di nuovo la strada tortuosa che l’ha portato a lasciare
un segno tangibile nella storia.
«Il vero luogo natio è quello dove per la prima volta si è
posato uno sguardo consapevole su se stessi: la mia prima patria sono stati i
libri.»
(pag. 32)
Le sue riflessioni
spaziano tra le più vaste esperienze umane: la malattia, la guerra, la
politica, l’amore (come sarà eternamente ricordato dal volto di Antinoo
scolpito senza sosta, innumerevolmente), ma anche il desiderio profondo e
tormentoso radicato in ognuno di noi – non posso credere che non sia così – di essere sé stessi e liberi. Un
traguardo che Adriano pensa di poter raggiungere solo se diventerà imperatore e
potrà apportare quei cambiamenti al suo impero che porteranno stabilità,
sicurezza, cultura. Come se per essere sé stesso, per essere libero di vivere,
il mondo attorno a lui dovesse piegarsi alle sue idee. Rimanendo sempre
conscio, tuttavia, del suo ruolo e del suo posto sul nostro vasto pianeta.
«A Odessos, un mercante tornato da un viaggio di vari anni
in quei luoghi mi donò una pietra verde, quasi diafana, che pare sia
considerata sacra in un regno immenso di cui egli aveva solo costeggiato i
confini, e di cui quell’individuo, inteso solo al suo profitto, non aveva
osservato i costumi né gli déi. Quella gemma bizzarra fece su me la stessa
impressione d’una pietra caduta dal cielo, una meteora d’un altro mondo.
Conosciamo ancora piuttosto male la configurazione della terra; e non capisco
come ci si rassegni a tale ignoranza. Invidio coloro che riusciranno a compiere
il giro dei duecentocinquantamila stadi greci calcolati così bene da
Eratostene, percorrendo i quali ci si ritroverebbe al punto di partenza.
M’immaginavo nell’atto di prendere semplicemente la decisione di continuare a
camminare davanti a me, sulla pista che ormai sostituiva le nostre strade.
Questa idea mi piaceva… Esser solo, senza beni, senza prestigio, senza alcuno
dei benefici d’una qualsiasi cultura, tra uomini nuovi, nel cuore di mondi vergini…
Va da sé che era solo un sogno, il più breve di tutti. Quella libertà che
inventavo non esisteva che nella mia fantasia: presto, mi sarei creato di nuovo
tutto quello a cui avrei rinunciato. Dappertutto non sarei stato altro che un
romano in esilio: una specie di cordone ombelicale mi legava all’Urbe. Forse,
in quegli anni, al rango di tribuno, mi sentivo legato all’impero più
strettamente di quel che non lo sia oggi, da imperatore, per la stessa ragione
che le ossa del polso sono meno libere del cervello. Ciò nonostante, quel sogno
mostruoso, che avrebbe fatto fremere i nostri avi, saggiamente confinati nella
loro terra del Lazio, io l’ho fatto, e l’averlo avuto solo un istante mi rende
diverso da essi per sempre.» (pag. 46)
Dalle sue memorie
traspira, appunto, la sua consapevolezza, non solo di sé stesso, ma anche di
Roma e dell’umanità.
«Mi dicevo che è vano sperare, per Atene e per Roma,
quell’eternità che non è accordata né agli uomini né alle cose, e che i più
saggi tra noi negano persino agli déi.» (pag. 221)
Memorie di Adriano è il mondo visto da un uomo, reimmaginato da
una donna che è riuscita a farlo rivivere. Questo è più di un romanzo storico,
di una biografia. Il lavoro svolto dalla Yourcenar è stato lento, è durato decenni
a intermittenza, perché lei è cresciuta, cambiata col passare del tempo, e con
tutto ciò anche la sua visione e la sua percezione. Riporto le parole della
stessa autrice, prese da una lettera scritta a Lidia Storoni Mazzolani, che
vorrebbero far capire cosa la sua opera sia:
«[…] uno studio del destino umano, l’immagine d’un uomo che
delle sue virtù e dei suoi difetti, delle sue esperienze personali e della sua
cultura poco a poco si compone una sorta di saggezza pragmatica
d’amministratore e di principe…» (pag. 317)
Marguerite ce l’ha
fatta. È riuscita ad annullarsi e a donarci Adriano, tutto sé stesso.
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