Il condominio – J. G. Ballard

Traduzione di Paolo Lagorio
Feltrinelli
189 pagine

La storia di questo libro di Ballard mi ha subito incuriosita: quella di un condominio avveniristico dove tutti i bisogni dei suoi inquilini sono soddisfatti.
Tuttavia, quando black-out e malfunzionamenti iniziano a diffondersi, gli abitanti di questa città verticale di quaranta piani si volgono gli uni contro gli altri.
Non sono solo i battibecchi tra vicini a nascere, ma delle vere lotte fra clan. Il ritorno a uno stato primordiale non porta alla rinascita del buon selvaggio, bensì allo scatenarsi della brutalità e della prepotenza. Più il grattacielo si degrada, più anche uomini e donne mutano.
Le domande che sorgono sono molte. Reagiscono tutti così? Non possono abbandonare il palazzo? Da fuori nessuno si accorge di niente?
Non vorrei anticipare troppo, non so quanto si sappia di questo libro in giro, basti sapere che il grattacielo diventa un mondo a sé stante, alieno a ciò che accade intorno. I suoi abitanti sono felici, prede del senso di potere e di libertà dato dalla violenza e dalla sopraffazione dell’altro.

Sono rimasta stupita da come questa regressione umana si sia fatta spazio, poco a poco, piano per piano, vincendo tutti i suoi occupanti. C’è stato un black-out, ma non saprei indicare un punto preciso in cui le cose hanno iniziato a precipitare. Sembra essere nato un nuovo regno.
Ballard è stato molto bravo a costruire un crescendo lento ma costante, in grado di ingannare e non far comprendere appieno dove ci sia stato il passaggio.
Sembravano tutti normali e, in seguito, si comportano tutti con naturalezza nella loro primordialità. Gli inquilini accettano i cambiamenti avvenuti in se stessi e negli altri. Anche questo spaventa, in fondo, la società rappresentata è la nostra. Davvero non possiamo leggerci niente di noi stessi? Cosa ci rende ciò che siamo e quanto poco basterebbe a distruggere tutto ciò che sostiene le regole del vivere sociale? È davvero sollievo quello che mi sembra che tutti provino nel dare sfogo e addirittura nel subire nefandezze?
Le regole del vivere sociale sono solo un velo, che a stento copre la nostra natura animale. L’evoluzione, la modernità, con tutti i loro passi avanti non sono sufficienti ad annullare il nostro desiderio di libertà, di repulsione di quelle norme che noi stessi abbiamo creato. I mesi di sfogo all’interno del grattacielo trovano il culmine non in una battaglia finale, ma nella pace. Nel raggiungimento di un nuovo e primitivo equilibrio.

J. G. Ballard ci lascia con delle domande, che non dobbiamo fare al libro, ma a noi. Per capire chi siamo e quanto sarebbe sufficiente grattare per far uscire il nostro vero io.

«Laing si teneva forte alla sbarra metallica, sconvolto ed eccitato nello stesso tempo. Quasi tutti i terrazzini dell’immensa facciata del grattacielo erano ormai pieni di gente, e gli inquilini guardavano tutti in basso, come dai palchi di un grandissimo teatro lirico all’aperto.» pag.46


«Nonostante tutti i suoi conflitti del momento, il grattacielo rappresentava comunque protezione e sicurezza.» pag.113

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