Lizzie – Shirley Jackson
Traduzione
di Laura Naulian
Adelphi
316
pagine
“Seduta alla sua scrivania lì all’ultimo
piano, nell’angolo più occidentale, giorno dopo giorno Elizabeth rispondeva
alle lettere che offrivano al museo raccolte di fiori pressati o vetusti bauli
da marinaio riportati dal Catai. Non è dimostrato che il suo equilibrio
personale venisse alterato dalla pendenza del pavimento, né si poté dimostrare
che fosse stata lei a svellere il palazzo dalle fondamenta; è innegabile
tuttavia che l’uno e l’altro cominciarono a smottare all’incirca nello stesso
periodo.” pag. 13
Adoro
iniziare un nuovo libro di uno scrittore che conosco e amo, ha qualcosa di
rassicurante. Anche se posso avere le mie preferenze tra le opere, generalmente
non ho brutte sorprese, sfoglio le prime pagine con la sicurezza di ritrovare
un amico familiare.
Shirley
Jackson è una di questi autori, perciò, qualche giorno fa, quando fissavo la
mia libreria con aria indecisa alla ricerca della prossima lettura, mi sono
decisa a puntare su qualcosa di certo. Metto già via i libri nuovi e si, prima
che possiate chiederlo, può creare una qualche confusione aver mischiati libri
letti e non, ma non ho il cuore di relegare le novità in uno scaffale a parte
come fossero in punizione. Inoltre, mi creo così una piccola biblioteca
personale e mi piace curiosare fra gli scaffali e farmi ispirare sul momento da
qualcosa di nuovo.
Ho letto
con piacere questo libro perché ho ritrovato le atmosfere della Jackson, dove
la mente fa da padrona, confondendo la realtà, non permettendo di comprendere
cosa sia vero e cosa no. Come in altri suoi libri (L’incubo di Hill House per esempio), non veniamo lasciati alla fine
con la certezza assoluta di sapere tutto quello che è successo. Quanto è vero?
Quanto è frutto della mente di uno dei personaggi?
La
Jackson è una maestra nel camminare su questa linea sottile, tra realtà e
immaginazione, ondeggiando un po’ da una parte e un po’ da un’altra.
In
questo libro quest’aspetto è forse meno marcato rispetto agli altri, ma credo
sia comunque presente. Senza voler anticipare il finale, l’ho trovato un po’
ambiguo.
Ora
passiamo brevemente alla trama.
Elizabeth
è una giovane donna, lavora come impiegata in un museo e vive con la zia
materna. Non c’è niente di strano in tutto questo, la sua sembra una vita
banale e anche un po’ noiosa.
Non
passa molto tempo che iniziamo a capire che c’è qualcosa che non va in lei, o
meglio, c’è qualcun altro. Poco a poco le altre personalità si fanno notare, e
la povera Elizabeth non è conscia quando le altre prendono il sopravvento. Mal
di testa, dolori alla schiena, stanchezza, vuoti di memoria… tutti sintomi di
un problema ben più profondo.
Persino
la zia Morgen comprende che ha bisogno d’aiuto e iniziano così le visite col
dottor Wright, uno psicoterapeuta. Non ho idea di quali fossero le teorie sui
disturbi dissociativi dell’identità negli anni ’50 (quando uscì questo libro) o
quali fossero le cure, perciò non so quanto siano sensate o realistiche queste
visite, ma sta di fatto che il dottore fa presto conoscenza con le varie
personalità. Inizia un lungo percorso, per farle smettere di combattere fra
loro e con gli altri, e arrivare non tanto a farle sparire quanto a riunirle in
un’unica persona.
La locandina del film del 1957 che è stato tratto dal libro. |
Non
voglio anticipare troppo, ma Shirley Jackson è stata molto brava a tratteggiare
questo disturbo. Perché nel primo capitolo osserviamo tutto dal punto di vista
di Elizabeth - questo cambia di capitolo in capitolo, passando anche dal dottor
Wright e da un’altra personalità -, che non essendo consapevole di essere
spezzata in così tante parti non permette a noi stessi lettori di capire subito
cosa stia succedendo. Unendo i tasselli, carpendo i vari indizi che possiamo
trovare tra le pagine, riusciamo a comprendere quando spaventosa possa essere
una condizione del genere. Ansia e
angoscia continuano ad aumentare, la confusione creata da questo miscuglio di
personalità, ognuna con le sue convinzioni, età, conoscenze, tratti, con anche
la propria visione del mondo, non fa che stringersi intorno a noi, sembra non
lasciare via d’uscita. Diventa quasi claustrofobico.
Una
lettura intensa, dove ho apprezzato i punti di vista diversi, capitolo per
capitolo, i dialoghi fra le varie personalità (quando ormai sono consce l’una
dell’altra) e la confusione creata con metodo per farci comprendere uno stato
di tale squilibrio mentale.
“«Lizzie,» le disse con voce crudele «Lizzie,
vieni fuori» ed Elizabeth, affacciandosi per un istante, si vide coi propri
occhi, nuda, in piedi, in una camera sconosciuta, davanti a un grande specchio,
e cominciò a piangere, e si abbracciò forte con entrambe le braccia, guardando
inorridita la stanza.
« Dove…?» chiese con un sussurro «Chi…?», e si
guardò attorno, aspettandosi forse di intravedere il suo aggressore, il
furfante che l’aveva ghermita, ignara di tutto, in mezzo alla folla, per
soddisfare le sue malvagie passioni da tratta delle bianche. «C’è qualcuno?»
disse infine Lizzie, con voce fievole, e Betsy rise e la rispinse giù. «Poveraccia…»
le disse, tornando a osservare nello specchio il corpo che tanto aveva
atterrito Elizabeth. «Povera scema».” Pag.126
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