Ombre giapponesi – Lafcadio Hearn
A cura
di Ottavio Fatica
Con uno
scritto di Hugo von Hofmannsthal (tradotto da Marco Rispoli)
Adelphi
298
pagine
Noto che
sto leggendo sempre più racconti. Sarà che la trovo un tipo di lettura
particolarmente adatta agli spostamenti sui mezzi pubblici, con la sua abilità
nello scandire il tempo (quante fermate della metro faccio con un racconto?) -
ma si trova bene anche su un comodino, con il senso di conclusione che riesce a
dare a fine giornata
Questa
volta con questa raccolta di scritti di Lafcadio Hearn mi sposto più a oriente rispetto al solito,
anche se vi avevo già fatto un’incursione con i Racconti dell’antico Giappone di Algernon B. Mitford.
A
differenza dell’altra raccolta, anche se in quella c’era qualche fiaba, con
questo libro ho avuto la possibilità di esplorare un po’ meglio l’immaginario
giapponese del soprannaturale, con spettri vendicativi, folletti ingannatori,
ma anche dolci storie di anime mosse da sentimenti puri.
Tra i
racconti che ho preferito, vi sono: La storia di Mimi-nashi-Hōichi, Diplomazia, Rokuro–Kubi, La
leggenda di Yurei-Daki, La storia di Chūgorō, La
storia di Kwashin Koji, Un karma passionale, Ingwa-banashi,
Il
cavalca-cadaveri, Jikininki, Una promessa infranta.
Non è da
saltare la postfazione di Ottavio Fatica, dove ho potuto scoprire qualcosa
sull’autore, sulla sua vita, le passioni che lo hanno smosso, ma anche sulle
sue opere e sulla loro creazione.
Fatica
pone una domanda che, in effetti, mi ero posta anch’io su questa raccolta di
miti e leggende giapponesi.
Lafcadio Hearn e la moglie Koizumi Setsu |
«Che cosa sono al dunque? Traduzioni,
imitazioni, ricreazioni, rielaborazioni, adattamenti più o meno liberi […]»
La
risposta sta nello stesso Lafcadio Hearn. Non era solo un traduttore, ma un
artista che con la sua sensibilità, la sua comprensione, la sua sintonia con il
Giappone, è riuscito a portarci i racconti di questo popolo fedelmente ma non
freddamente. Trapiantato in Giappone, dove abbandona la cittadinanza britannica
per quella locale, sposandosi e prendendo il nome di Koizumi Yakumo, riesce a
comunicare a noi occidentali un mondo, l’antico Giappone, che stava scomparendo
al momento della sua morte nel 1904, ma che allo stesso tempo non lascerà mai
quelle terre.
Hearn
non traduceva quindi i racconti che trovava parola per parola e basta. Se li
faceva raccontare dalla moglie, con parole sue, a grandi linee e poi
dettagliatamente, poi vi rifletteva, vi s’immergeva, cercava di comprenderli.
Perché non desiderava riportare solo delle parole, ma l’anima di un paese.
«Quando però il silenzio della notte era più profondo , quatta quatta entrò una Forma, vaga e vasta; e in quel preciso istante Mūso si trovò incapace di parlare o muoversi. Vide la Forma sollevare il cadavere, come se avesse le mani, e divorarlo, più rapida di un gatto con un topo - partendo dalla testa, senza tralasciare nulla: né capelli né ossa e men che mai il sudario. Consumato ch'ebbe il corpo, la mostruosa Creatura passò alle offerte, trangugiando anche quelle. Poi, misteriosamente come era comparsa, filò via.» pag. 179 - Jkininki
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